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Quale futuro per i programmi europei nelle città italiane? Un’intervista-tavola rotonda tra Ministero e Punto nazionale URBACT

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10 September 2019
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Roundtable discussion fra i rappresentanti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Anci che seguono per l’Italia il programma URBACT: un confronto sugli elementi emersi dalle reti che negli ultimi anni hanno visto protagoniste le città italiane e gli scenari futuri legati al collegamento tra nuova programmazione europea, programmi nazionali e azioni delle comunità innovative

URBACT si è affermato negli ultimi anni in Italia come un programma capace di rendere centrali nel dibattito di numerose città elementi quali la pianificazione integrata e la partecipazione civica. Il confronto sull’agenda urbana nazionale e sull’attuazione degli impegni europei in materia di città, sintetizzati dai partenariati dell’Agenda Urbana Europea, si collega direttamente all’esperienza condotta sul campo da tante amministrazioni locali in collaborazione con gli attori del territorio. In vista dell’avvio della nuova programmazione europea 2021-2027, sulla quale sono in corso proprio in questi mesi serrati negoziati tra istituzioni europee e Stati membri, abbiamo scelto con questa Roundtable discussion di tracciare un quadro tra presente e futuro del programma URBACT in Italia con Daniela Versino, che per il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si è occupata di URBACT sin dal 2006, e Sofia Montalbano, che proseguirà per le azioni intraprese dal Ministero come referente nazionale e capo delegazione italiana nel comitato di monitoraggio di URBACT III Un’occasione per confrontarsi su quanto URBACT ha realizzato negli ultimi anni e su spunti di riflessione utili per orientare la nuova programmazione.

SDA Simone d’Antonio (ANCI, National URBACT Point)
DV Daniela Versino (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti)
SM Sofia Montalbano (Ministero delle Infrastrutture e del trasporti


SDA: In che modo si è evoluto URBACT in Italia negli ultimi anni?

DV: Ho visto una maggior partecipazione delle città italiane ma a monte ho percepito una consapevolezza sempre più forte dell’utilità di un programma come URBACT. Ciò che ha consentito di rendersi maggiormente conto della sua utilità è stata la consapevolezza dell’esistenza e della necessità delle azioni immateriali: questa è stata senza dubbio la missione principale che come Ministero abbiamo perseguito negli ultimi anni. Con URBACT non si finanzia il "mattoncino" ma l’expertise, lo scambio di buone pratiche, la partecipazione: tutti elementi già promossi all’epoca di Urban Italia e dei Prusst. Già con Urban Italia è iniziata una consapevolezza più forte delle azioni immateriali, ma con URBACT è incrementata la consapevolezza della necessità dello scambio. È una evoluzione ulteriore, parlando sia di successi che di fallimenti, esperienze da prendere in carico o da non ripetere. A questa presa di coscienza ha contribuito anche l’introduzione di obiettivi tematici su ambiente, rigenerazione urbana e sociale, tutte azioni legate al recupero dell’esistente invece che al nuovo.

SDA: Tutto questo ha contribuito in maniera sensibile e spesso inattesa a favorire il cambiamento in tante città

DV: Infatti. Basti pensare che un progetto URBACT che mi ha commosso è stato quello di Adelfia, un progetto di inclusione sociale e non strettamente di rigenerazione urbana. Vedere al Festival delle buone pratiche di Bari la street band dei bambini che suonavano, impegnandosi un’ora al giorno a imparare a suonare uno strumento musicale, mi ha fatto percepire quanto i progetti URBACT siano capaci di far emergere energie e iniziative importanti che avvengono sui territori.

SDA: Dal mio punto di vista progetti come quelli realizzati ad Adelfia o in altri comuni piccoli e medi rappresentano anche un segnale forte su quanto sia necessario far uscire i temi di URBACT dalle stanze degli addetti ai lavori e sia necessario arrivare alle persone vere e a quegli attori più vivaci, le comunità dinamiche che possono favorire il cambiamento dal basso.

SM: E' anche vero che queste attività stimolano il singolo a migliorare ciò che c’è intorno e rendono possibile l’avvio di tutta una serie di nuove attività. Il tipico caso di una periferia che si autorigenera rappresenta uno dei casi possibili.

DV: Questo è quello che è accaduto a Roma con il network Re-Block, che ha visto coinvolta come partner l’Università di Tor Vergata. Qui il vero punto di forza è stato l’approccio bottom up, che ha consentito di convogliare l’impegno di numerosi stakeholder attivi nella periferia romana, a dimostrazione che solo partendo dalla base si possono affrontare i problemi veri che dall’alto non si vedono.

SM: Certo, è senza dubbio importante collaborare con gli attori che vivono il territorio per individuare le aree dove è prioritario intervenire e far emergere necessità che non si conoscono. I numeri parlano chiaro: l’Italia continua ad essere anche con l’ultima call di URBACT il paese con il maggior numero di città partecipanti ai network approvati ma sono tante anche quelle che provano a partecipare, sia come capofila che come partner, ma senza successo

DV: Bisogna colmare il gap tra progetti presentati e progetti approvati, gap che è ancora molto ampio. Questo vuol dire che le città italiane presentano spesso progetti non qualitativamente apprezzabili. È vero che ci sono fra le reti approvate tante città italiane sia capofila che partner ma rispetto a quanti partecipano bisogna cercare di migliorare in maniera decisa la qualità della progettazione.
Comparando le diverse edizioni, notiamo che ci sono sempre più nuove città che partecipano e questo da un lato è positivo perché vuol dire che l’azione di comunicazione fatta dal Punto nazionale e dal Ministero sta funzionando ma le nuove città che entrano nei network hanno spesso difficoltà ad approcciarsi ed ad applicare il metodo URBACT anche perché il programma pretende sempre di più anche qualitativamente rispetto a URBACT I e URBACT II

SDA: Resta da capire in che modo a livello nazionale possiamo migliorare la qualità della progettazione, e soprattutto siano rafforzare la ownership dei progetti da parte dei comuni

SM: Come Anci vi siete occupati negli ultimi anni di formare gli enti locali ma anche di incontrare gli stakeholder. Sui territori esistono tante iniziative svolte da associazioni o privati cittadini che “copiano” URBACT: ad esempio in Sicilia gruppi di cittadini che hanno iniziato a partecipare a bandi europei ma per iniziative di natura privata o associazioni che promuovono iniziative di rigenerazione urbana. Potrebbe essere interessante intercettare questo tipo di attività e racchiuderle nel programma URBACT, che può in Italia così diventare ancora più co-partecipato. Venendo da un piccolo paese siciliano, spesso vedo che i cittadini non riescono a porsi in maniera collaborativa rispetto alle amministrazioni comunali e il settore pubblico non riesce a farsi promotore di iniziative innovative, o a intercettarle quando esse avvengono. Si potrebbe avviare un’operazione di sondaggio e di ricerca di tali iniziative e potrebbe essere interessante fare una call nazionale indirizzata direttamente a quei soggetti che realizzano interventi innovativi, spingendoli a farsi parte attiva nella presentazione di progetti URBACT assieme alle amministrazioni comunali.

SDA: Una delle soluzioni da adottare potrebbe essere quello di aprirsi direttamente alle comunità innovative, che vuol dire promuovere l’adesione ai progetti URBACT a partire da quelle comunità che stanno già mettendo in piedi interventi nel campo dell’innovazione sociale o dell’inclusione o che in qualche modo rappresentano dei presìdi di socialità per i territori. Ci sono numerose mappature di tali comunità attive in Italia, penso in particolare a quanto sta accadendo a Brindisi, Cagliari o Terni, ai gruppi attivi nei patti di collaborazione per la cura dei beni comuni o a strutture più stabili come le Case di Quartiere di Torino, strutture comunali che creano nuove forme di socialità nel quartiere. O ancora ai comitati civici e a gruppi simili che fanno pressione sulle istituzioni locali per attivarsi in reti tematiche su priorità forti del territorio, come possono essere il recupero di spazi verdi e sicurezza urbana o la rigenerazione di pezzi del territorio.

DV: Per fare progetti qualitativamente migliori a volte basta semplicemente mettere a fuoco ciò che sta accadendo, comprendere i problemi veri e i titolari di competenze che potrebbero contribuire ad arrivare alla soluzione. Questo può sicuramente costituire un elemento di specificità italiana, anche nel futuro di URBACT.

SM: Come ben sappiamo, l’idea è che nella prossima programmazione URBACT possa essere collegato in maniera più diretta all’European Urban Initiative, e agire ancora di più per collegare le diverse opportunità di finanziamento per le città. Potrebbe essere interessante creare anche a livello ministeriale un dipartimento su politiche territoriali trasversali, e consolidare l’idea che la condivisione di spazi e di esperienze sia un’entità autonoma riconoscendo la validità vera di questa tipologia di iniziative anche a livello nazionale e internazionale. A livello europeo potrebbe essere utile mettere in rete anche iniziative simili: il futuro di URBACT potrebbe anche consistere nel consolidarsi a livello nazionali con sedi ufficiali nei vari paesi europei, ad esempio con un “ufficio URBACT” che rappresenti un punto di incontro fisico per le città e i soggetti interessati alle attività di animazione del Punto nazionale ma anche un luogo in cui fare gestione e monitoraggio continuo di queste tipologie di interventi.

SDA: In Europa si sono sviluppato negli ultimi anni modalità innovative per replicare URBACT. Una di questa è il modello di “URBACT nazionale” promosso dal governo polacco, ovvero la creazione di reti tematiche di città dello stesso paese attive secondo il metodo URBACT di scambio di esperienze e buone pratiche e di attivazione di cittadini e stakeholder nella definizione condivisa di piani d’azione locali.


DV: Noi ci abbiamo provato in parte in passato con la rete delle città Urban Italia, organizzando dei laboratori realizzati tra le città che si scambiavano informazioni e metodologie tra loro. Sicuramente potrebbe essere interessante portare avanti un ragionamento così anche in Italia per il prossimo futuro.

SM: Potrebbe sicuramente essere interessante utilizzare soldi che spesso rimangono non spesi o stanziamenti specifici nella nuova programmazione per favorire la realizzazione di interventi concreti di socialità, in maniera trasversale rispetto a tante tipologie di interventi già in corso, come ad esempio i progetti del Piano Città. Nell’ambito di interventi fisici di rigenerazione come la riqualificazione di laghi, la costruzione di capannoni o la realizzazione di alloggi sociali, tutti i temi al centro di interventi che il Piano città sta finanziando, credo sia possibile applicare efficacemente il metodo URBACT per favorire la condivisione degli interventi con i cittadini.

DV: Ci sono dei progetti significativi dove potrebbe essere testato questo approccio. Ad esempio a Napoli nell’ex fabbrica Corradini di San Giovanni a Teduccio, un grosso complesso di cui non si riesce a far partire l’opera di riqualificazione, assieme ad azioni di recupero infrastrutturale andrebbe avviata una serie di interventi sul tessuto economico e sociale, con azioni trasversali di inclusione, promozione culturale, comunicazione e coinvolgimento di cittadini e stakeholder per il riuso collaborativo di queste strutture. Tra l’altro Napoli è una città che ha testato con successo il metodo URBACT negli ultimi anni, come dimostrato anche dall’esperienza dell’ex Ospedale Militare dei Quartieri Spagnoli al centro del lavoro del network 2nd Chance

SDA: L’aspetto più interessante dell’esperienza di Napoli, che è tra le città storicamente più presenti in URBACT, sta nel fatto che il recupero dell’Ospedale militare secondo il piano elaborato nel network dedicato ai “giganti dormienti” sia stato inserito tra le azioni del Contratto istituzionale di sviluppo per il centro storico, siglato a luglio: questo vuol dire che quando c’è alla base una progettazione di qualità si riesce con più facilità a finanziare azioni di recupero fisico che vanno a realizzare quanto co-deciso con i cittadini. Partendo da quanto avvenuto in questi mesi a Napoli potrebbe essere utile ritornare al tema che discutiamo da tempo come Punto nazionale di agganciare i progetti emersi dai piani d’azione di URBACT a fonti di finanziamento più stabili per la loro effettiva realizzazione. Una prospettiva che potrebbe realizzarsi concretamente nei prossimi anni, anche già in fase di costruzione dei Por e dei Pon, vista pure la massa critica sempre più significativa rappresentata dalle città italiane di URBACT.

SM: Sicuramente nel tempo si nota una riduzione dei fondi disponibili: anche nelle nuove programmazioni alle quali si sta lavorando, i progetti saranno di entità minore. Questo vuol dire che bisogna forse basare anche un po' meno alla materialità delle azioni e di più sulla socialità, sul rafforzamento del senso di comunità. I progetti che emergono da URBACT possono essere un buon punto di partenza.

DV: Sarebbe importante partire da quello che è stato già fatto, che è una tendenza forte negli ultimi anni. Capitalizzare il realizzato ma anche recuperare edifici e strutture non solo a livello fisico ma anche dargli nuove funzionalità e di inserimento sociale nelle aree urbanizzate. Non dimentichiamo che il Piano città, piano nazionale che nasce nel 2013, finanzia 23 città e a queste si aggiungono 5 città del Mezzogiorno (Napoli, Taranto, Erice, Catania e Lamezia Terme), finanziate con il Piano di Azione e Coesione, che ha stanziato 94 milioni di euro proprio perché c’è attenzione su grandi zone depresse del Mezzogiorno che sono state fatte rientrare in questa programmazione

SM: L’auspicio generale è che ci siano nuove iniziative di questo tipo, che tengano conto di queste esperienze trasversali maturate in URBACT, capaci di inglobare questa esperienza nei nuovi programmi del futuro che si stanno disegnando in queste settimane.

DV: Ci sono due esempi che focalizzano il fortissimo degrado che sta tentando di affrontare il Piano Città con il PAC. A Lamezia Terme stiamo intervenendo su un quartiere ai margini della città dove si sta cercando di riqualificare una zona con edifici interamente occupati e senza presidi di socialità. A Catania nel quartiere Moncada stiamo ugualmente intervenendo su un edificio dove si presentano numerose problematiche sociali, con episodi che segnalano un degrado sui cui questi progetti devono intervenire affinché le istituzioni possano arrivare lì dove veramente serve

SDA: Negli ultimi anni abbiamo visto anche tanti progetti URBACT capaci di intervenire in zone degradate, come il network Genius Open che a Siracusa ha favorito l’avvio di percorsi partecipativi diffusi nel quartiere della Mazzarrona, una ex 167 dove le mamme del quartiere hanno contribuito alla riqualificazione di una scuola abbandonata. La vera sfida dei progetti URBACT e non solo può essere quella di agganciarsi da un lato ai temi del futuro, come gli aspetti innovativi che emergono dalle reti sull’uso dell’intelligenza artificiale nelle città o all’impatto della responsabilità sociale di impresa ma anche ad aspetti più stringenti che sono al centro dell’azione di numerose città italiane, come ad esempio il contrasto all’emergenza abitativa o all’inclusione delle comunità straniere.

SM: In Monitoring Committee di URBACT si riscontrano nelle posizioni degli altri paesi priorità molto simili rispetto allo scenario italiano. Si ravvisa più in generale la necessità di affrontare comunque i temi di forte impatto sulla vita delle persone, dall’integrazione dei migranti all’inclusione sociale. Nel post-2020 si dice che in URBACT questa discussione è già in atto e si cerca di seguire una linea di politica territoriale che non sia divergente fra i diversi programmi europei. Da lì nasce anche l’esigenza di creare forme di contatto tra diversi Punti di contatto nazionali a livello dei singoli paesi e la definizione di linee guida condivise tra i diversi programmi di coesione territoriale. L’unione deve fare davvero la forza e far sì che non emergano politiche individualistiche di singole realtà, programmi e ministeri, completamente disarticolati rispetto agli altri.

SDA: In parole povere, l’approccio integrato va declinato non solo al livello dei singoli progetti urbani ma anche su scala nazionale ed europea.

SM: Secondo me non si è tanto lontani da questa cosa. Vediamo che a livello nazionale ci sono tante iniziative forti, una macchina amministrativa consolidata, manca forse l’ultimo passo che è quello di favorire il contratto tra i due mondi. Considerato che la programmazione futura è tutta in divenire, si può sfruttare questi mesi proprio per inserire tali esigenze nei nuovi programmi sulle città e attrezzarsi al meglio per favorire una rafforzata collaborazione tra il livello europeo, nazionale e urbano, con un occhio alle vere esigenze delle comunità locali.