L'innovazione sociale che cambia le città italiane: Milano e Torino a confronto con le esperienze europee di BoostInno
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29 June 2017Un colloquio tra i principali protagonisti del dibattito italiano sull’innovazione sociale, che raccontano le esperienze realizzate da Milano e Torino al centro del network Urbact BoostInno.

In che modo l’innovazione sociale sta cambiando le città italiane? I diversi momenti di incontro dedicati al tema nel corso dell’ultima edizione di ForumPA hanno fornito una serie di risposte interessanti a questa domanda da tempo al centro del dibattito e della pratica quotidiana che vede protagoniste numerose medie e grandi città italiane.
Le azioni portate avanti da Torino e Milano nel quadro di programmi europei come Urbact, Urban Innovative Action e Horizon 2020 rappresentano anche a livello europeo un punto di riferimento per il dibattito sul tema, come testimoniato dal network BoostInno- Boosting Social Innovation, che vede entrambe le città fra i partner della rete composta, tra gli altri, anche da Parigi, Barcellona e Danzica.
Ne abbiamo parlato in questo confronto con Fabrizio Barbiero del Comune di Torino, Lucia Scopelliti del Comune di Milano e il direttore di Open Incet Fabio Sgaragli, che stanno per le rispettive città seguendo le attività del progetto e promuovendo una serie di azioni locali legate al tema
SdA Simone d’Antonio
FB Fabrizio Barbiero
FS Fabio Sgaragli
LS Lucia Scopelliti
SdA: Torino è una delle città in Italia che ha maggiormente investito sull’innovazione sociale, in termini di risorse, persone, idee e visione per il futuro, con effetti che vanno sviluppandosi sempre di più sul rilancio sociale ed economico delle periferie. Da cosa nasce il percorso portato avanti da Torino negli ultimi anni e in che modo sta proseguendo anche in relazione all'impegno europeo che la città sta portando avanti non solo con il progetto Co-City, finanziato da Urban Innovative Actions ma anche con il progetto Urbact BoostInno?
FB: La città di Torino ha iniziato ad affrontare il tema dell'innovazione sociale a partire dal 2012, a partire dall’osservazione delle programmazione dei fondi europei attualmente in fase di attuazione. Avevamo capito che l'innovazione sociale poteva diventare non solo una priorità in ambito internazionale, ma anche un modello di sviluppo economico su cui puntare non solo da un punto di vista del sostegno delle imprese, ma soprattutto per garantire una partecipazione attiva dei cittadini nella gestione di servizi. Siamo partiti inizialmente lavorando sui temi dello sviluppo economico e con questo obiettivo abbiamo disegnato, realizzato e portato a compimento un programma che si chiamava Torino Social Innovation, un disegno che abbiamo condotto grazie al fatto che eravamo in un progetto europeo finanziato dal programma Urbact chiamato My Generation At Work. Tale esperienza è evoluta poi nel network BoostInno, che ci vede impegnati insieme al Comune di Milano e alle altre città della rete a ridisegnare nuovi strumenti, nuovi servizi e nuove misure rivolte principalmente allo sviluppo economico, uno sviluppo economico capace di produrre un impatto sociale ed economico. La nostra azione non è stata orientata solamente su fronte occupazionale, ma abbiamo anche cercato di ricostruire e ridisegnare i modelli di engagement e collaborazione tra città e cittadini, e lo abbiamo fatto sempre all'interno di un progetto europeo intitolato Urban Innovative Action, che è un progetto che si chiama Co-City e mira a dare sostanza al tema dei beni comuni e quindi a delle modalità nuove di gestione dei servizi in forma co-partecipata.
SdA: Qual è la novità principale rappresentata da questo progetto?
FB: Attraverso Co-City cittadini e pubblica amministrazione lavorano insieme nella progettazione e anche nella gestione. Oggi abbiamo in piedi delle misure rivolte al terzo settore proprio per supportarlo nell'erogare nuovi servizi su temi sociali specifici che interessano le periferie della nostra città: è uscito da poco un bando con contributi destinati alle realtà del terzo settore, quindi dalle associazioni alle imprese sociali, proprio per favorire la crescita di queste realtà che stanno diventando sempre più importanti per la coesione socio-economica del nostro territorio.
SdA: Nell'ambito dei progetti che state portando avanti attualmente con BoostInno ma anche in precedenza con My Generation At Work, siete riusciti ad includere tutta una serie di attori anche inconsueti per i processi di innovazione locale, coloro che nel gergo di Urbact vengono di solito chiamati gli “insoliti sospetti”. Quali sono gli attori più innovativi e più inaspettati che avete incluso nell'ambito di questi gruppi e che tipo di impatto sono riusciti a dare nel medio e lungo periodo sulle attività di innovazione sociale che state realizzando?
FB: E’ tutto un discorso di approccio, nel senso che abbiamo provato a lavorare nell'ottica innanzitutto della creazione di un ecosistema. I temi dell'innovazione sociale sono dei temi complessi, quindi è inimmaginabile che una pubblica amministrazione possa agire da sola. Per questo è necessario il coinvolgimento di attori con competenze e provenienze diverse e quindi con questo spirito siamo entrati in contatto con realtà classiche istituzionali ma anche con realtà nuove e con realtà che non gravitavano sul nostro territorio ma che erano interessate in qualche modo a misurarsi con noi sul tema dell'innovazione sociale. Questo è un fatto abbastanza tangibile, infatti l'operazione più importante che abbiamo condotto in materie di riqualificazione di un edificio industriale cioè l'Ex Incet è stato poi preso in gestione da un gruppo di soggetti composto da partner locali ma anche da partner provenienti da altre parti del nostro paese.
SdA: Proprio su Open Incet Sgaragli può fornire alla discussione un punto di vista diverso rispetto a quello del Comune, ovvero quello degli innovatori, delle imprese e delle start-up. È interessante conoscere quali soggetti sta includendo Open Incet e soprattutto che tipo di accelerazione anche a livello internazionale sta riuscendo ad assicurare a tutto questo mondo che gravita attorno ad uno degli esperimenti più interessanti in questo momento in Italia di rigenerazione urbana, teso allo sviluppo di nuove economie all'interno di un quartiere come Barriera di Milano che ha visto quest'azione proprio come un'azione centrale nel processo di sviluppo negli ultimi anni.
FS: Oggi per le città la priorità è fare crescita inclusiva, quindi cercare di coniugare sviluppo economico e inclusione all'interno del mercato del lavoro, connettere i centri e le periferie, far emergere i temi delle città policentriche, delle categorie svantaggiate, dei giovani nel mercato del lavoro.
Mettere assieme tutti questi temi in realtà non significa far confusione ma vuol dire cercare di dare una sistematicità agli interventi, favorire un utilizzo più efficiente delle risorse a disposizione delle città, ed anche creare delle piattaforme che permettano il fatto che attori fino a ieri erano fuori da certi processi di implementazione di policy urbana possano dare il proprio contributo in cambio di un ritorno che a volte può essere d'immagine, a volte può essere d'apprendimento, a volte può essere di connessione con altri attori con cui poi sviluppare opportunità di lavoro.
Noi di Fondazione Brodolini siamo sicuramente convinti che sia vincente l'approccio che alcune città più illuminate di altre stanno portando avanti. Sicuramente Torino e Milano sono due fari rispetto ad altri approcci che sono ancora un po' più tradizionali. IN queste due città si cerca di suonare un po' tutte le corde, coniugando quindi la capacità di includere le cooperative, ma anche il sistema degli attori privati, i punti di sintesi più tradizionali come le Camere di Commercio, piuttosto che altre tipologie di attori che sono appunto intermediarie rispetto alla catena di trasmissione delle politiche urbane, ma anche singoli individui.
SdA: Ad esempio?
FS: Abbiamo appena chiuso un bando che si chiama Comunità creative, rivolto a singoli individui, soprattutto a giovani tra i 25 e 35 anni, per accompagnarli alla progettazione e alla presentazione di idee innovative a valere su opportunità internazionali, non europee ma come quelle ad esempio messe in campo dalla IBM Foundation o dalla Bill & Melinda Gates Foundation. Nel giro di meno di due settimane abbiamo raccolto più di 200 candidature, il segno anche del fatto che c'è un grande appetito per opportunità che consentano di guardare fuori ma anche ad opportunità di crescita che toccano non soltanto le organizzazioni ma anche i singoli come individui.
SdA: Questo sforzo di coinvolgimento dei singoli attori del cambiamento sul territorio si ricollega, credo, anche all’azione che con Fondazione Brodolini hai portato avanti negli ultimi anni in Urbact II con il coordinamento dei gruppi di azione locale nei vari paesi europei. A partire da questa esperienza continua di coinvolgimento portata avanti sui territori come sta cambiando la concertazione degli attori locali, quali sono i nuovi temi e gli orientamenti che stanno venendo fuori?
FS: Sicuramente quella esperienza di 4 anni ci ha permesso di vedere centinaia di città in tuta Europa che provavano a lavorare insieme su sfide che consideravano di comune interesse. Quello che abbiamo visto è che sicuramente la tendenza suggerita dalla Commissione Europea, ma abbracciata da molte città in Europa e ora anche in Italia, è quella appunto di creare delle piattaforme orizzontali che incrocino azioni che avvengono su più livelli: dall’alto, ovvero da chi svolge un ruolo di guida e di visione a medio-lungo termine con una visuale su tutto il sistema, e dal basso ovvero creando momenti di incontro con chi invece nei quartieri e nelle città genera dei sani processi di partecipazione e di cogenerazione di nuovi programmi, nuove attività e politiche di contributo da parte di tutti gli attori.
SdA: L’incrocio fra queste due dimensioni può bastare a generare processi di sviluppo realmente condivisi?
FS: Questa tendenza sicuramente non è sufficiente. Dal nostro punto di osservazione, essendo calati nei sistemi locali come parte integrante del processo e ma agendo anche come centro di ricerca per le politiche pubbliche che si astrae dai processi e cerca di trarne delle lezioni, quello che vediamo è che in questo momento mancano due cose: la prima è vedere seduti al tavolo un settore privato che veda all'interno dell'innovazione sociale una reale opportunità di ingaggio con il sistema locale. Ci sono degli esempi ma siamo ancora ben lontani. La seconda cosa che notiamo è che va potenziata la connessione a livello internazionale tra i vari ecosistemi locali perché nessuna città, per quanto grande e innovativa, ha tutte le risorse e tutte le risposte e tutte le competenze e deve quindi andare a costruire dei ponti di scambio con altre città e non soltanto in Europa, ma anche in altre parti del mondo. Soltanto così riesce veramente ad alimentare un circuito virtuoso perché oggi il livello di gioco è quello mondiale, non più solo quello locale, nazionale ne più quello europeo.
SdA: Le città quindi diventano sempre di più degli hub di conoscenze, saperi, visioni che albergano sul territorio o che vengono da fuori ma che diventano elemento di attrazione nei settori più vari, come sta facendo Milano su una serie di temi come quello del food, ma non solo. In che modo Milano sta mettendo a sistema in una visione di medio-lungo periodo quello che da Expo in poi sta avvenendo in città e anche quello che sta emergendo dalle varie iniziative europee a cui state partecipando, come il progetto Lighthouse Sharing City o Boostinno di Urbact di cui siete partner? In che modo tutto questo può garantire nei prossimi anni una visione organica e unica di di sviluppo, soprattutto sui temi dell'innovazione sociale?
LS: Milano si sta ponendo una prospettiva di competizione a livello internazionale in maniera molto netta. La visione su cui si basano le nostre politiche è molto incentrata sul confronto, sul benchmarking internazionale. Stiamo puntando molto sulle politiche volte all'internazionalizzazone soprattutto per quanto riguarda le opportunità che vengono date alle imprese, alle startup e agli aspiranti imprenditori che vengono in contatto con noi attraverso degli accordi con diverse città, non solo a livello europeo, ma con una ottica intercontinentale: ad esempio abbiamo accordi con New York e Amsterdam, e sempre di più stiamo cercando di lavorare in questo senso. Stiamo cercando anche di mettere a sistema tutto quello per cui i progetti europei menzionati in precedenza rappresentano uno sprone continuo per la nostra azione: noi partiamo da queste opportunità di finanziamento e di sperimentazione che l’UE ci offre per consolidare dei rapporti con alcuni partner anche privati, con i quali seguendo soltanto la normativa italiana ancora non riusciamo ad acquisire delle soluzioni e a fare delle sperimentazioni "senza impegno" per testare le soluzioni prima. Ancora non si parla molto di appalto precommerciale ma dalla teoria alla prassi siamo ancora molto distanti. Invece noi utilizziamo queste possibilità, questi finanziamenti proprio per stringere delle alleanze, testare delle soluzioni innovative per il territorio e poi creare attraverso queste anche delle occasioni di business per nostri partner anche privati locali per andare in altre realtà a portare le loro soluzioni.
SdA: Su cosa si focalizzano queste soluzioni che state sperimentando?
LS: Con Sharing City stiamo lavorando molto sui temi ad esempio della mobilità elettrica, dell'efficientamento energetico, in collaborazione sia con la nostra amministrazione che con multinazionali presenti sia in Italia che all'estero. In questa maniera testiamo delle soluzioni, creiamo dei dimostrativi che non sono fini a sé stessi o fini al progetto: stiamo parlando di interi quartieri che grazie a questi progetti vengono infrastrutturati con una ottica di replicabilità. Utilizziamo poi questi fondi anche per un confronto sulle politiche con altre città: ad esempio, diversi progetti europei che abbiamo in corso riguardano l'uso dei dati, e a partire d questo stiamo cercando di fare un passaggio sia a livello nazionale attraverso il Garante per la Privacy, così come in tutta Europa stiamo così organizzando scambi con altre città, cercando anche di fare lobbying su alcune policy per poi portarle all'attenzione della Commissione europea.
SdA: Anche il rapporto con le imprese, in questo caso con i grandi player del mercato dell'innovazione tecnologica, come anche con gli innovatori o gli startupper del territorio, rappresenta un elemento decisivo per realizzare politiche di innovazione locale di nuova generazione.Quali sono gli esempi virtuosi che a Milano state portando avanti in questo senso proprio sul tema della sharing economy?
LS: Questa operazione di merging tra le start-up e le corporates è la chiave di successo per cercare veramente di avere un impatto economico sul territorio e aiutare quegli attori in fase embrionale a passare da una fase start up a quella successiva. Sul fronte della sharing economy ci stiamo esattamente muovendo su questo piano: da un lato cerchiamo di far emergere le piccole realtà e supportarle con degli aiuti e azioni di incentivo, anche grazie al solo fatto di inserirle in una rete di attori. Dall'altro canto ci stiamo relazionando con alcuni player già ampiamente consolidati nell'ambito della sharing economy e stiamo chiedendo loro un ritorno per la cittadinanza. Siamo in contatto con Airbnb, con cui abbiamo sottoscritto un accordo di collaborazione e abbiamo avviato una serie di progetti a beneficio dei cittadini. Una zona di Milano ha una serie di alloggi a prezzi calmierati per i parenti dei pazienti delle strutture ospedaliere milanesi, oppure stiamo realizzando iniziative presso Co-Hub, ovvero lo spazio che il Comune di Milano ha messo a disposizione per offrire servizi e informazioni sulla sharing economy: tra queste azioni abbiamo lanciato un corso sui temi della sharing economy destinato a gente in un fase di transizione lavorativa. Stiamo dunque cercando in questa prospettiva, da un lato di fare massa crittica, aiutare i piccoli ma allo stesso tempo beneficiare della presenza di alcuni grandi player sul territorio affinché ci sia un indotto più vasto anche in termini di benefici sociali che questi portano alla città.
SdA: Dalle azioni realizzate a Torino, Milano e nelle altre città attive sul fronte dell’innovazione sociale emerge sempre più un modello italiano che può essere vincente in Europa. Perché quando parliamo di innovazione sociale in Italia riusciamo forse più che in altri campi dell'agire urbano ad essere forti anche di una serie di esperienze e di una visione che altri non hanno?
FB: Penso che si tratti di un discorso legato alle tipologie di imprese, a modi d'intendere l'economia. Nel Mediterraneo vediamo che una impresa sociale è una impresa radicata fortemente nel territorio, che cerca di ricostruire l'economia attraverso servizi di prossimità, attraverso una conoscenza profonda delle problematiche e quindi attraverso un approccio che cerca di guardare sia alla dimensione sociale sia a quella economica per il fatto che le pubbliche amministrazioni non sono più nelle condizioni di erogare direttamente servizi attraverso la strumentazione classica che è richiamata nel Codice degli appalti. Questo sta permettendo ad una serie di realtà di ridisegnare i propri modelli di intervento sul territorio, di ripensarsi: c'è una cultura dell'innovazione profonda nel nostro territorio e quindi c'è un territorio molto fertile.
A noi non mancano le idee, che sono probabilmente con la creatività il nostro punto di forza, a differenza di altre realtà che hanno un maggiore sostegno nello sviluppo delle idee ma peccano da un punto di vista della creatività forse perché in qualche modo non sentono la necessità di dover trovare delle soluzioni convincenti che diano anche una possibilità di crescita. Probabilmente sono tutti questi fattori che permettono l'emergere di soluzioni innovative. Abbiamo dei modelli con una dimensione più locale ma più interessanti anche in termini di sostenibilità nel lungo periodo, c'è un mantenimento del tasso di numero di occupati elevato, il terzo settore per il sistema paese in questo momento è un settore che riesce a tenere posti di lavoro e sta persino leggermente crescendo. Questo vuol dire che le nuove generazioni della nostra classe imprenditoriale sono molto attente al tema del sociale.
SdA: E anche poi forse attente a un rapporto più forte con il territorio, con i quartieri, con le zone in cui si inserisce la loro attività, forse anche legato a una idea diversa di comunità.
LS: Noi dalla nostra abbiamo una platea di soggetti estremamente reattiva e un tessuto variegato, difficile da compartimentare. Mettendo insieme soggetti diversi, per quanto si tratti di una operazione difficile, è una operazione che offre ottimi risultati. Noi lo abbiamo visto a Milano attraverso una piccola sperimentazione con una piattaforma di crowdfunding civico e in questo caso abbiamo voluto parlare di progetti a impatto sociale senza dire da chi fossero proposti, abbiamo voluto eliminare i problemi legati alla personalità giuridica del soggetto che aderiva e in questo senso abbiamo avuto tante idee progettuali molto diverse fra loro ma molto innovative e con un impatto sociale ben definito. Creare questa ibridazione è stato il punto di forza di questo progetto; dall'altra parte però da noi deve migliorare l'accesso al credito, da quel punto di vista riscontriamo difficoltà nella bancabilità di alcuni progetti innovativi con un tasso di rischio legato al mondo delle start-up che però danno un impatto sociale difficile da valutare.
(Ha collaborato Benedetta Gillio)
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