Dal lockdown in strada ad un tetto sopra la testa: le città del progetto ROOF si uniscono per il diritto alla casa
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17 December 2021L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ha fissato una serie di obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) da raggiungere entro il decennio. Tra questi, figura quello di ridurre il numero di persone senza fissa dimora fino allo zero funzionale (no structural homelessness), rendendolo così un fenomeno sporadico e residuale, attraverso interventi strutturali. Questo il tema del Network URBACT Roof.
Oggi, in Europa, il numero delle persone che vivono in strada o che sono costrette a chiedere aiuto presso centri di assistenza è sempre maggiore e si stima che ogni anno più di quattro milioni di individui si trovino in tale condizione. Inoltre, l’emergenza abitativa si è aggravata a seguito dello scoppio della pandemia da COVID-19 che ha reso impossibile per quest’ultimi rispettare le norme igieniche e sanitarie di distanziamento sociale. Allora, il tema dell'housing, inteso come diritto ad un'abitazione sostenibile, è divenuto una priorità ed è stato inserito al centro del progetto URBACT ROOF pensato per arginare la questione dei senzatetto attraverso soluzioni abitative innovative.
Il Transfer Network URBACT ROOF coinvolge nove città europee: Ghent (Belgio) come coordinatrice, Thessaloniki (Grecia), Toulouse Métropole (Francia), Braga (Portogallo), Timi Oara (Romania), Glasgow (Regno Unito), Liège (Belgio), Poznan (Polonia), Odense (Danimarca)- al fine di sviluppare piani d’azione integrati in una prospettiva di lungo termine volti a trovare soluzioni abitative stabili a coloro che hanno bisogno di una fissa dimora. A tal fine, le città della rete si sono interrogate, chiedendosi cosa potessero fare per garantire a tutti, in particolare ai gruppi più svantaggiati, un alloggio sicuro, adeguato e a prezzi accessibili e la risposta è stata trovata proprio nella collaborazione e nello scambio di pratiche virtuose tra gli attori locali coinvolti nel programma.
Le iniziative attuate nell’ambito della rete URBACT ROOF ci dicono che è arrivato il momento di:
Riconoscere e individuare le persone senza fissa dimora. La nozione di “senzatetto” non si limita a identificare come tali le persone che vivono in strada, ma si riferisce anche a coloro che vengono ospitati e dormono nei divani di abitazioni di parenti e amici, i c. d. couch sleepers, in macchina o in condizioni inadeguate. Riconoscere loro uno “status” di senzatetto è il presupposto per interventi mirati ed estesi alle categorie che rientrano in tale definizione. Nella città di Ghent, ad esempio, è stato fornito una sorta di passaporto che permettesse ai senzatetto di essere riconosciuti dalla polizia; nella città di Glasgow, invece, differenti servizi come quelli sociali, sanitari e di assegnazione degli alloggi hanno raccolto informazioni molto più accurate sulla comunità dei senzatetto e per la prima volta, in una prospettiva di collaborazione, le hanno condivise tra di loro. Infatti, con informazioni dettagliate è sicuramente più semplice creare soluzioni personalizzate e a lungo termine.
Collaborare tra settori e considerare la collettività, comprese le persone senza fissa dimora, come una risorsa. Durante i primi mesi di pandemia, molto poco è stato fatto per coloro che non avevano una casa: i servizi che si occupavano di alloggi sociali hanno interrotto le loro attività e i campi profughi, a causa del mancato distanziamento sociale, sono stati un’enorme fonte di contagio. I servizi, inoltre, hanno avuto grande difficoltà a comunicare fra loro, ma, dopo la prima ondata, è divenuto chiaro che sarebbe stato necessario portare avanti un lavoro integrato per agire a livello sistemico. Così le strutture che si occupano di salute, assistenza e case hanno iniziato a collaborare per la prima volta, a scambiarsi informazioni e sono stati aperti anche nuovi centri di assistenza per offrire supporto ai bisognosi, dalla sanità alla ricerca di soluzioni abitative, a Thessaloniki e a Braga. La comunità locale è stata direttamente coinvolta nelle azioni di promozione e mantenimento dei servizi essenziali, così come gli stessi senzatetto: sono nate iniziative spontanee per portare la spesa agli anziani e fornire cibo a chi ne aveva bisogno. Il coinvolgimento della dimensione locale è la chiave per avvicinare il cittadino a realtà apparentemente distanti e per sostenere soluzioni a lungo termine.
Ripensare gli spazi inutilizzati durante il periodo pandemico per offrire rifugio ai senzatetto. La crisi ha avuto un fortissimo impatto su tutta l’economia ed in particolare sul turismo. Alberghi e strutture ricreative sono rimaste completamente vuote e alcune città, nello specifico Glasgow e Ghent, hanno iniziato ad affittare stanze di hotel per i senzatetto. Questa soluzione ha permesso di mettere al sicuro persone bisognose, ma ha anche aiutato a diffondere l’idea di poter usare spazi e servizi inutilizzati durante l’emergenza pandemica per scopi differenti da quelli per cui sono stati progettati. Lo stesso è avvenuto nel privato e, a Thessaloniki, ad esempio, i proprietari di appartamenti hanno offerto i loro alloggi a prezzi considerevolmente più bassi per permettere a chi versava in condizioni economiche svantaggiate di poter accedere ad affitti molto vantaggiosi. In alcuni casi, invece, come è accaduto a Liège, gli affittuari hanno contattato direttamente il Comune per offrire i loro appartamenti alle persone bisognose. Inoltre, alcune strutture come le scuole, vuote durante il periodo pandemico, sono state riorientate e utilizzate per creare unità di massimo due/tre persone che potessero ospitare i senzatetto.
Ripensare le politiche sociali attraverso soluzioni strutturali, come Housing First. Le soluzioni sperimentate durante i primi mesi di pandemia hanno riguardato il breve periodo, come ad esempio quella di offrire posti letto o caserme ai senzatetto per aumentare il distanziamento sociale. Lo scopo della rete ROOF, invece, è quello di pensare a lungo termine e agire rapidamente: in questa prospettiva, le città esplorano soluzioni abitative innovative grazie al programma “Housing First”. Nel modello tradizionale, le persone devono superare diversi passaggi prima di poter ottenere una casa, ad esempio curando le loro dipendenze; nel modello Housing First, invece, ricevere una casa è il primo passo: il possesso di un’abitazione diviene un diritto umano e non più una ricompensa. Infatti, le soluzioni temporanee in alloggi non hanno spesso avuto successo per persone con esigenze complesse e questo è evidente proprio nell’esperienza dell’Associazione per l'edilizia abitativa di Queens Cross a Glasgow, dove giovani con problemi di tossicodipendenza vivono in appartamenti piccoli e indipendenti e, se necessario, hanno il supporto costante dell'Associazione. Come ha sostenuto uno dei giovani intervistati durante un incontro in sede: "tornare in un istituto o in una soluzione abitativa temporanea e vivere con altre persone che hanno problemi simili avrebbe significato tornare alle droghe, perdere il lavoro... avevo bisogno del mio spazio, avevo bisogno di mettere insieme la mia vita, da solo.”
In questo momento, le città appartenenti alla rete ROOF stanno testando piccole azioni pilota nel loro contesto urbano (Small Scale Actions-SSAs) per poi, una volta verificata l’efficienza e ricevuti finanziamenti adeguati, applicarle su larga. Braga individua nella mancanza di un impiego la principale ragione per cui i senzatetto non sono motivati a lasciare i loro rifugi e trovare una propria autonomia. A tal fine, ha lanciato un programma, l’“House of Skills”, sul modello delle “Skills Academy”, per testare se le persone senza fissa dimora siano disposte a cercare ed iniziare un nuovo lavoro e se, d’altro canto, le aziende si mostrino ricettive nell’offrire opportunità di formazione e tutoraggio. Thessaloniki ha già un programma di impiego che consente ai senzatetto di trovare un lavoro e ottenere più stabili condizioni di vita; si tratta, tuttavia, di un primo passo, ma senza un intervento di fondo, in quanto il piano è rivolto a coloro che possono più facilmente essere integrati, ovvero agli individui senza dipendenze o problemi mentali. La città di Ghent, diversamente, ha avvertito la necessità di far collaborare i differenti settori di supporto ai bisognosi, come cliniche per problemi mentali e di droga, housing e altri servizi sociali, non solo attraverso lo scambio di informazioni, ma sperimentando working teams di undici persone che vivono e lavorano in Robust Houses, sperimentando così nuovi modi di comunicare, collaborare, gestire gli impegni e visite. Timsoara testerà la creazione di un piccolo gruppo di impiegati che diventeranno ambasciatori del metodo Housing First e di un sito web in cui caricare informazioni, materiale, links per diffondere capillarmente l’esperienza della città. Liège, d’altra parte, ha avvertito il bisogno di lavorare sulla comunicazione interna ed esterna: nonostante servizi sociali molto sviluppati, la città fatica a migrare verso modelli innovativi, come Housing First; allora, creare nuove soluzioni comunicative per il servizio di housing sarà l’intento della collaborazione avviata con l’Università di Liège nell’ambito dei Master in social design e Architettura. Toulouse Métropole possiede numerosi strumenti facilitativi di mercato immobiliare privato, come deduzioni fiscali, intermediazione finanziaria, alloggi sociali e molto altro, ma manca di un canale di comunicazione che renda il tutto accessibile e comprensibile; la città, dunque, come Toulouse Métropole, testerà una nuova piattaforma di comunicazione in cui verificare la presenza di alloggi privati a prezzi accessibili. La città di Poznan, invece, ha avuto l’idea di realizzare una app per integrare dati provenienti dai centri municipali che si occupano di senzatetto per comprende quante persone si trovano in tale situazione ed avere dati più accurati. Glasgow, dove la questione delle persone senza fissa dimora è ormai eradicata, lavorerà per prevenire le situazioni di disagio sociale che portano a vivere in strada, anche attraverso una piattaforma di storytelling e workshop per una comprensione profonda del fenomeno dei senzatetto. Odense, infine, stabilirà una piattaforma di incontro dove i principali stakeholder locali ed esperti di Housing First potranno valutare il lavoro compiuto e stabilire un insieme di buone pratiche da mantenere costanti nel tempo.
Grazie al Network URBACT ROOF, la “questione” dei senzatetto è oggi più visibile, conosciuta e studiata rispetto al periodo pre-pandemia, quando ancora la portata del fenomeno aveva contorni piuttosto sfumati. Ogni città coinvolta nel progetto reputa che i tempi siano ormai maturi affinché tutti gli attori coinvolti, politici, funzionari dei differenti settori, la collettività, l’opinione pubblica, il mercato privato delle case e gli addetti ai servizi ripensino le politiche sociali in una prospettiva di lungo periodo, volgendo l’attenzione verso soluzioni più stabili ed innovative, come quelle proposte appunto dal programma Housing First.
Alessandra Moroni
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