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Gli orti urbani che mettono al centro le persone a Roma: viaggio tra le esperienze di Ru:rban

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05 March 2019
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- I REPORTAGE DEL NATIONAL POINT - 
Il primo meeting del Transfer Network Ru:rban diventa occasione per raccontare le diverse esperienze di agricoltura urbana e l'impatto sociale su Roma, capofila della rete che vede numerose città europee alle prese con il modello capitolino sugli orti urbani

Alle tre di pomeriggio di un mercoledì di metà febbraio il signor Giovanni è intento a scavare un nuovo pozzo nel suo pezzo di terra all’entrata dell’orto promosso dall’associazione Vivere In, a pochi passi dal complesso di abitazioni di Casal Brunori dove risiede. In questo angolo di campagna urbana, posizionato a poche centinaia di metri dalla via Cristoforo Colombo che conduce verso il mare, sono almeno una decina gli ortisti, quasi tutti pensionati come il signor Giovanni, che si prendono cura del loro pezzetto di terra e dei piccoli lavori di manutenzione sugli spazi comuni che servono a rendere questo spazio verde vivibile anche per tutti gli altri ortisti che vi si recano soprattutto nel fine settimana. “Preferisco venire qui invece che stare sul divano” dice Giovanni, dipendente per decenni del Poligrafico dello Stato ma ora tra i più attivi in questa comunità spontanea che è sorta e cresciuta nel corso degli anni attorno a questi pezzi di terra una volta incolti in una periferia romana come tante, resa speciale anche dal lavoro di raccordo continuo con scuole del territorio, Caritas, scout e altri gruppi informali che hanno aderito a questo progetto di cura condivisa degli spazi verdi.

 

 


La collaborazione tra realtà del terzo settore, gruppi informali di cittadini e amministrazione comunale per utilizzare al meglio alcuni dei tanti spazi verdi abbandonati della Capitale, il comune agricolo più grande d’Europa, è l’elemento-chiave della buona pratica di orti condivisi per il sociale che Roma sta trasferendo ad altre città europee come La Coruña, Vilnius, Cracovia, Salonicco, Loures e Caen nell’ambito del network Ru:rban.

 

 

 

 



In una città come Roma dove sono oltre un migliaio gli orti privati, una realtà agricola diffusa ma poco conosciuta raccontata magistralmente anche dal documentario Sacro GRA, sono emersi negli ultimi anni oltre duecento orti urbani curati da piccole e grandi comunità spontanee sorte ai quattro angoli della città per tutelare un giardino, per contrastare la cementificazione di alcune aree o semplicemente per ritrovare un rapporto con la natura che è andato perdendosi nel corso degli anni e dei processi di urbanizzazione. Si tratta non soltanto di orti dove si avviano piccole produzioni di frutta e verdura ma anche aiuole dove si realizzano azioni di guerrilla gardening o spazi verdi utilizzati per attività ricreative, dai corsi di yoga al barbecue o alle feste per bambini: spazi variegati e spesso ibridi, capaci di coniugare modelli diversi tra loro, divenuti negli ultimi anni aggregatori sempre più importanti di energie, saperi e di uno spirito di collaborazione tra le diverse comunità, capaci di auto-organizzarsi e saper essere collaborative e resilienti nella pratica.

“In tempi di crisi sociale gli orti urbani sono stati sempre una chiave importante – afferma Silvia Cioli di Zappata Romana - Anche in Inghilterra, Francia e Germania ci sono stati dei momenti in cui gli orti urbani hanno svolto un ruolo sociale molto forte, legati ad esempio alle residenze operaie o alle case religiose”. Un ruolo forte giocato ancora oggi, soprattutto per ricreare legami con i gruppi più deboli, come gli anziani soli, le comunità straniere o chi vive particolari criticità sociali. A tali gruppi sono legate alcune delle storie più interessanti di rilancio umano e sociale che emergono dalla realizzazione di alcuni degli orti urbani di Roma, raccontate durante il primo Transnational Meeting della seconda fase di Ru:rban. Tra queste, la storia dei lavoratori dell’ex Eutelia che dopo aver perso il lavoro hanno iniziato a prendersi cura di un orto nell’Istituto Garibaldi, un punto di incontro per ritrovarsi tra quadri, programmatori e altro personale qualificato trovatosi di punto in bianco disoccupato. Da quell’esperienza sono sorte una serie di piccole iniziative legate alla cura della terra nella zona di Tre Fontane, che hanno contribuito non solo a riqualificare un complesso da tempo trasformato in discarica ma anche ad avviare attività di catering che utilizzano prodotti coltivati in loco e altre forme di presidio importanti per il territorio.
“Dopo aver perso il lavoro ci siamo messi in gioco imparando gradualmente come prenderci cura di un orto urbano – racconta Jawed, uno dei componenti del gruppo – Questa attività ha contribuito a reinserirci in un circuito sociale che ci ha tenuto attivi in un momento difficile, passando dal trascorrere otto ore davanti a un computer a recarci nei campi a coltivare, attività che continuiamo a condurre coinvolgendo sempre più abitanti del territorio”.

L’emergere di un numero sempre più significativo di esperienze ha condotto negli ultimi venti anni l’amministrazione Capitolina a censire le esperienze di orti urbani e ad avviare una prima forma di regolamentazione, che ha preso spunto da esperienze sorte dal basso come quella degli Orti della Garbatella. Gli orti urbani diventano così un terreno di confronto tra amministrazione ed esigenze del cittadino, con la redazione partecipata di un Regolamento che è tra i primi in Italia a definire con precisione come possono essere concessi gli spazi dal Comune ai gruppi di cittadini che ne fanno richiesta e a prevedere la figura del cosiddetto “gardenizer”, organizzatore dei giardini e delle comunità che sorgono attorno ad essi.

 

 

 

 

 

 



L’aggiornamento del Regolamento sugli orti pubblici, da oltre un anno al centro del confronto tra associazioni e Amministrazione comunale, rappresenta uno degli aspetti più importanti su cui Roma intende agire con Ru:rban per migliorare ulteriormente la sua buona pratica e rendere il suo modello più aderente alla dinamicità di uno scenario che vede un continuo emergere di nuovi gruppi e iniziative. Dall’esperienza degli orti della Garbatella, che sorgono a pochi passi dall’edificio della Regione Lazio e rappresentano ancora oggi un presidio di socialità curato da abitanti del quartiere, associazioni e scuole, avviata nel 2010 fino a oggi sono numerosi modelli e tipologie ortistiche che stanno consolidandosi in diverse aree della città: dall’orto socio-terapeutico a quello tenuto direttamente da enti e università, come la LUISS, tali forme di utilizzo sono al centro di un’azione di studio e confronto che la città sta tentando di ricondurre nell’ambito di Ru:rban, con l’intento di arricchire la buona pratica degli spunti che emergono dall’azione delle altre città europee coinvolte.

 

 

 

 

 

 



“Le città del network presentano situazioni molto differenti tra loro – spiega il Lead expert del progetto Kostas Karamarkos – Vilnius ha un forte impegno politico nei confronti del tema e intende replicare tutti gli aspetti della buona pratica di Roma. Caen presenta invece già una forte esperienza in URBACT ed è maggiormente a suo agio con la metodologia partecipativa. Città come Cracovia e Salonicco intendono agire fortemente sulle competenze di coloro che coordinano le attività di giardinaggio urbano”.

 

 

 

 

 

 



La formazione dei gardenizers è stato l’elemento centrale del confronto tra le città che hanno partecipato al primo Transnational meeting della seconda fase, con l’obiettivo di formare sei figure al confine tra il giardiniere e l’organizzatore di comunità per ogni città: un piccolo plotone di una cinquantina di nuovi professionisti del giardinaggio urbano capaci di animare le attività realizzate a livello locale e diventare le figure centrali del trasferimento della buona pratica romana ma anche coloro in grado di affrontare sia gli aspetti regolamentari che quelli tecnici al centro di ogni azione di promozione degli orti urbani.

“La nostra sfida è quella di riuscire alla fine del percorso di URBACT a rendere sostenibile il dialogo tra i componenti degli URBACT Local Group dei diversi paesi e favorire uno scambio di esperienze e di conoscenza in modo da migliorare la governance di tali processi legati agli orti urbani in tutte le città coinvolte nel progetto - afferma Claudio Bordi, coordinatore dell’URBACT Local Group di Roma – Nel corso dei due anni di progetto cercheremo di trasferire l’esperienza virtuosa che abbiamo sviluppato negli ultimi anni a Roma grazie a un processo di partecipazione diffusa dei cittadini e all’associazionismo, che è un punto di forza della città e che spesso i romani non sanno neanche di avere sul proprio territorio, perché ci si concentra sulle debolezze dell’amministrazione locale senza rendersi conto di quanto l’attivismo civico sia apprezzato anche a livello europeo”.

La mancanza per anni di una forte regolamentazione del settore ha costituito un limite ma anche un inaspettato elemento di forza per lo sviluppo di una buona pratica basata su una rete di energie civico e su un senso di mutuo soccorso tra soggetti e associazioni diverse, che negli anni è riuscito a colmare anche le lacune tecniche o amministrative.
“I partner europei del progetto sono affascinanti dal nostro scenario di cittadinanza attiva e da quella capacità di mettersi assieme, fare comunità e organizzarsi che tanti cittadini hanno avuto e continuano ad avere, senza aspettare che tutto gli venga fornito necessariamente dalle istituzioni” commenta Silvia Cioli di Zappata Romana.

Recuperare le tante aree abbandonate nelle diverse zone della città, sorte spesso come opera di compensazione da parte dei costruttori e lasciate in buona parte in disuso, è una delle sfide che in parallelo alla realizzazione delle attività di Ru:rban si intende portare avanti, restituendo alla città dei terreni da poter poi dare in concessione. Allo stesso tempo, rendere il processo di gestione di tali aree e di confronto tra i diversi enti coinvolti più agile può contribuire ancora di più a trasformare gli orti urbani in strumenti di inclusione, riqualificazione urbana e innovazione sociale diffusa.
“L’orto non è il punto di arrivo ma un punto di partenza - spiega Filippo Cioffi, presidente dell’associazione Viver In, che cura l’orto di Casal Brunori - Abbiamo presentato progetti per oltre un milione di euro di interventi, dimostrando che le azioni di agricoltura urbana possono diventare un trampolino di lancio per nuove forme di sviluppo per l’intero territorio”.

 

 

 

Simone d’Antonio