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Le otto soluzioni delle città europee alle sfide delle città italiane imparate a Tallinn

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05 November 2017
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Viaggio tra le esperienze di innovazione presentate al City Festival di Tallinn, che forniscono idee e spunti per affrontare alcuni dei temi di maggiore interesse per lo sviluppo delle città italiane

Le strutture post-industriali trasformate in incubatori culturali e creativi di Telliskivi, il quartiere di Tallinn che ha ospitato il City Festival di Urbact, costituiscono l’ambiente ideale per sindaci e funzionari giunti nella capitale estone in cerca di idee su come migliorare le proprie città. La quantità di attività culturali e commerciali di qualità ospitate in questa zona adiacente la piccola stazione centrale di Tallinn fa da sfondo al consueto programma di incontri e visite-studio organizzato da Urbact nel corso del suo evento annuale: una combinazione di visioni, idee e esperienze di innovazione provenienti da tutta Europa e presentate nelle forme e nei contenitori più vari, capaci di rendere un lituano familiare con uno spazio riutilizzato a Saragozza o un francese contributore della strategia di city branding della rumena Alba Iulia.

 

 

In questa fiera delle città che innovano, termometro allegro e conviviale dello stato dell’arte dello sviluppo urbano sostenibile in Europa, è difficile non lasciarsi contaminare da piccole e grandi idee che hanno cambiato un quartiere, una strada o il modo in cui lavora un’intera amministrazione locale. L’incontro con coloro che nella maggior parte dei casi hanno ideato questi progetti innovativi, e che forse mai avrebbero pensato di ritrovarsi un giorno premiati fra le 97 buone pratiche urbane europee, risulta a volte straniante soprattutto per la capacità di molti di aggiungere elementi inattesi a quello storytelling multiforme richiesto da Urbact per un evento rivolto a una pluralità di persone e pubblici di nazionalità diverse.
Più di ogni altra cosa, ascoltando i racconti e le presentazioni di esperienze realizzate in giro per l’Europa è difficile non immaginarle replicate nel proprio contesto urbano: uno sforzo di immaginazione e reinvenzione continuo che nella testa delle centinaia di partecipanti spinge a pensare perché un’esperienza, poniamo il caso, di Riga o Heraklion possa o meno funzionare nel proprio quartiere o nella propria città.
Da flaneur dell’innovazione urbana non ci sottraiamo a questo esercizio di fantasia e proviamo a immaginare come l’adattamento e il riuso di alcune pratiche presentate a Tallinn potrebbero davvero contribuire ad affrontare alcune delle sfide più urgenti per le città e le comunità urbane italiane.

Creare lavoro di qualità per tutti: le esperienze di Trelleborg e Saragozza
La disoccupazione giovanile e la scarsità di occupazioni di qualità rappresentano delle costanti del disagio sociale di piccoli, medi e grandi centri in Italia. Solo di recente i Comuni stanno cercando soluzioni a un problema ritenuto quasi esclusivamente appannaggio di livelli di governo sopraelevati, da quello provinciale al nazionale. Difficilmente però a un sindaco verrebbe in mente di dedicare un ufficio a una vera e propria “agenzia matrimoniale” destinata a far “innamorare” datori di lavoro e residenti in cerca di occupazione. La città svedese di Trelleborg, 43mila abitanti, dedica uno staff di quindici persone del suo settore welfare e servizi sociali alla creazione di connessioni tra imprese del territorio e residenti, favorendo il matching tra posti di lavoro disponibili e disoccupati. Mentre una parte del personale si occupa di contattare le aziende, il resto dei funzionari intervista i possibili beneficiari, tra questi richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati. Oltre 500 colloqui tra imprese selezionate e disoccupati sono stati organizzati negli ultimi anni: 260 di questi sono diventati stage e 170 veri e propri contratti di lavoro.
“Creare connessione tra le persone è il concetto-chiave di questo progetto” afferma il capo unità del comune di Trelleborg Patrik Mollerstrom.
Lo stesso è accaduto anche a migliaia di chilometri dalla Svezia, con il caso della Colaboradora promosso da Saragozza che affronta in maniera originale il tema dell’economia collaborativa e del precariato dedicando uno spazio di 240 metri quadri all’incontro tra professionalità diverse in cerca di un luogo in cui esprimersi. Ogni residente può stabilirsi gratuitamente in questo working space e partecipare alle sue attività a patto di collaborare attivamente alla gestione del luogo, la cui governance è assicurata da uno steering committee composto da dipendenti comunali e utilizzatori dello spazio. Oltre cinquanta progetti imprenditoriali sono nati dalla collaborazione tra i diversi componenti della comunità, creando nuovi posti di lavoro semplicemente mettendo assieme le forze a partire da un’ex fabbrica di zucchero trasformata in incubatore di opportunità.


Cambiare i comportamenti quotidiani in materia ambientale: le strategie di Pforzheim e Manchester
Le campagne di comunicazione per promuovere abitudini sostenibili e cura di verde e spazi urbani hanno fatto il loro tempo: le nostre città hanno bisogno di nuove modalità per invitare I cittadini a fare la propria parte. In un paese come l’Italia, dallo sterminato patrimonio culturale, l’utilizzo dell’arte e della cultura come veicolo di partecipazione e tutela del territorio può costituire un elemento innovativo e inatteso. A Pforzheim, città tedesca di 118mila abitanti rinomata per la sua produzione orafa, ci sono riusciti portando l’arte contemporanea in luoghi indecisi, oggetto di un’azione di riqualificazione partecipata che ha coinvolto a Kaiser Friederich Strasse (KEF), in uno dei quartieri più degradati della città, residenti di oltre sessanta nazionalità. Far uscire l’arte dai musei per creare spirito di comunità, combinandolo alla piantumazione di cento nuovi alberi di cui i cittadini possono prendersi cura.
Rendere la cultura uno strumento di contrasto al cambiamento climatico è anche il cuore della strategia di Manchester, che ha avviato già dal 2009 un processo partecipativo che ha coinvolto cittadini e imprese nella definizione di una strategia integrata che ha visto come sua ulteriore evoluzione la responsabilizzazione civile di un settore-chiave della vita cittadina, ovvero quello culturale. Dall’impatto ambientale delle attività artistiche e museali all’inserimento di contenuti ambientali in mostre e rappresentazioni teatrali: la programmazione culturale cittadina diventa così un veicolo di sensibilizzazione per diverse categorie di residenti urbani e mette alla prova anche l’amministrazione stessa della città, impegnata a rendere il contrasto al cambiamento climatico un elemento trasversale delle politiche di relazione con il cittadino. A dimostrazione che “è molto più interessante coinvolgere le persone in attività concrete piuttosto che in infinite discussioni sul clima che cambia”, come afferma Jonny Sadler, direttore della Manchester Climate Change Agency.

Rendere le comunità più inclusive e accoglienti nei confronti di minoranze e stranieri: le azioni di Torrent e Amburgo
Il welfare migliora davvero solo se è capace di mettere le persone al centro delle politiche, raccogliendo le sfide del nostro tempo come le migrazioni per migliorare i servizi per tutte le categorie disagiate e avviare processi di vera rigenerazione urbana. Ciò significa anche rendere un quartiere una volta percepito come pericoloso nuovamente accessibile a tutti i residenti, come accaduto a Torrent con la zona di Xenilet. Passo dopo passo questa cittadina di 80mila abitanti alle porte di Valencia ha iniziato a percepire i bisogni della minoranza rom come un’opportunità invece che come un problema. “Far salire le persone a bordo, non considerarle come un peso ma guadagnare percezione dei loro bisogni” commenta Maria Jose Munoz del dipartimento affari europei del Comune.
Da qui è iniziata un’azione che ha coinvolto studenti e famiglie, con una serie di incentivi alla ristrutturazione delle abitazioni malridotte, la creazione di un nuovo asilo per un centinaio di bambini e un percorso pedonale che ha riavvicinato questo quartiere in crisi al centro. Tali misure, unite allo sviluppo di un Diversity Management Plan, hanno creato nuove opportunità non solo per la comunità rom ma anche per altre fasce deboli, coinvolgendo i residenti non solo nelle diverse azioni di miglioramento del quartiere ma anche nel miglioramento dei servizi di welfare del Comune.
L’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo rappresenta spesso un motivo di frizione all’interno delle comunità locali, soprattutto per l’impatto ravvisato dai più critici potenzialmente negativo sulla coesione sociale. Coinvolgere i cittadini nella scelta degli edifici da adibire a strutture di prima e seconda accoglienza rende l’esperienza di Amburgo un esempio di inclusione e partecipazione vera delle comunità, che a partire dall’elemento spaziale rende più comprensibile l’impatto dei fenomeni migratori sui territori e ne condivide gli effetti con il territorio. A colpire particolarmente di questa esperienza è l’utilizzo di strumenti tecnologici, come il software Cityscope, e di pianificazione visiva come strumento per integrare fattori soltanto apparentemente lontani tra loro, come la programmazione territoriale e quella sociale, soprattutto agli occhi di un comune cittadino e alla luce dell’attuale sfiducia verso ogni tipo di autorità coinvolta nell’accoglienza dei migranti. Un esempio di tolleranza e di interesse verso il futuro del territorio e della propria comunità, che ha rafforzato la ownership del processo di integrazione da parte dell’intera comunità.

Sviluppare nuove attività economiche nei quartieri in crisi: i casi di Lisbona e Anversa
Non c’è altro modo per riqualificare davvero un quartiere sul piano economico e sociale che creare nuove opportunità per tutti i residenti. A Lisbona ci sono riusciti perché hanno messo assieme le tante associazioni che lavoravano nelle zone identificate come di intervento prioritario e invece di mettere a bando fondi per progetti singoli hanno posto un’unica condizione: ogni progetto doveva essere presentato da almeno due associazioni che lavorano assieme. Il cuore di Bip/Zip sta proprio nell’aver riscoperto in diverse zone della città una serie di legami di comunità che ha portato alla nascita, ad esempio, alla Mouraria di Largo Residencias, un residenza per turisti e ostello solidale, oppure della Cozinha Popular da Mouraria che offre opportunità di lavoro ai migranti. “Ci siamo riusciti perché siamo tanti” spiega il consigliere comunale Rui Franco. Oltre 1500 micro iniziative nell’ambito di 232 progetti sono state realizzate in diversi luoghi della città nel corso delle diverse edizioni del programma, che ha dato vita a un sistema di gestione partecipativo che coinvolge tutti gli attori in una piattaforma di Community Led Local Development, che collabora con l’amministrazione locale nella definizione delle priorità di intervento del programma.
I negozi vuoti come opportunità per il rilancio di un quartiere: il problema che riguarda numerosissimi quartieri nella stragrande maggioranza delle medie e grandi città in Italia è stato affrontato ad Anversa favorendo il riuso temporaneo in un quartiere pilota, la zona periferica di Oud Berchem. La collaborazione tra un’associazione no-profit e l’amministrazione locale ha portato all’identificazione dei negozi sfitti, alla loro ristrutturazione e al riutilizzo per un periodo di prova di due mesi da parte di imprese creative che hanno realizzato una serie di attività commerciali diventate poi in alcuni casi permanenti. Ciò ha consentito al quartiere di riprendere nuova vita, ridando valore anche alle altre unità abitative e commerciali del quartiere in cerca di persone volenterose di rimettersi gioco e di rimettere in gioco l’intero quartiere. “Abbiamo ottenuto risultati sul lungo periodo perché gli abitanti hanno visto che c’è stato un impegno concreto, che ha avuto un impatto sulla vita delle persone e del quartiere” spiega Tine Mallentjer della Cultural Antenna di Berchem.

Quanto costa però attuare tutti questi progetti? Spesso meno di quanto si pensi, poche decine di migliaia di euro o anche di più ma spesso reperiti attraverso l’integrazione tra diverse tipologie di fondi.
Le idee originali trovano sempre spazio e sono, più delle risorse economiche, la vera chiave per un nuovo sviluppo urbano: l’esperienza di Tallinn e della altre decine di città convenute nella capitale baltica confermano che per cambiare una strada, una piazza, un quartiere, un servizio comunale a volte serve immaginazione e forza di volontà a profusione ma soprattutto un investimento non banale sul capitale umano, sugli agenti del cambiamento capaci di riorientare dal basso i processi di sviluppo e realizzare città migliori con una forza inaspettata e dirompente.

Simone d’Antonio