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La ricetta di Piacenza per rendere la aree militari decisive per lo sviluppo urbano sostenibile

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03 November 2017
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Viaggio tra le esperienze di riqualificazione delle aree militari dismesse o in via di dismissione al centro del lavoro del network MAPS a Piacenza

Costeggiando le vie limitrofe al centro di Piacenza, la scritta che si vede con maggiore frequenza è senza dubbio quella che campeggia sull’onnipresente cartello giallo “Area militare: vietato entrare”. Il via vai di mezzi militari e camionette che caricano soldati e appartenenti di diverse forze armate non deve trarre d’inganno: non si tratta di una città che va alla guerra o con problemi di ordine pubblico ma di un centro che deve gestire le conseguenze, spesso non facili, di una storica, massiccia presenza di strutture militari sul suo territorio.
È soprattutto sul fronte urbanistico, in particolare degli enormi volumi di tali strutture disseminate tra centro storico e periferia della città, che si avverte maggiormente l’impatto dell’esercito e dei suoi corpi in città. Un tema avvertito come significativo da numerose città italiane ed europee e su cui Piacenza è impegnata da capofila del network Urbact MAPS – Military Areas as Public Spaces, che affronta il tema del riutilizzo di tali strutture, dismesse o in via di dismissione.

 

 

Il tema è particolarmente sensibile in Italia da qualche anno, con l’assegnazione di tali strutture ai comuni decisa dal governo nel 2014, con un passaggio di gestione che impone ai livelli locali la definizione di nuove forme di utilizzo per tali complessi, che spesso sono talmente grossi da tagliare le città in due, come avviene a Piacenza con il Polo Mantenimento Nord.
Mentre in passato tali aree venivano considerate come completamente staccate dal contesto urbano in cui erano inserite, pur dando lavoro come nel caso di Piacenza a migliaia di dipendenti civili, oggi le città hanno il compito di mettere d’accordo in primo luogo una serie di soggetti istituzionali sulle prospettive futuro di utilizzo di tali aree, dal Demanio ai militari (ancora massicciamente presenti in città), e allo stesso tempo favorire il coinvolgimento dei cittadini nella definizione di possibili piani per il riutilizzo delle strutture, con particolare riferimento a quelle già nella piena disponibilità del comune, come il Laboratorio Pontieri.

 

 

Le attività del progetto MAPS sono strategiche per affrontare le principali sfide urbane di questo centro di 100mila abitanti posto al confine tra l’Emilia e la Lombardia. Ce ne parla l’assessore all’urbanistica Erika Opizzi

Quali sono le principali sfide legate al rilancio urbanistico della città?
La sfida principale è quella di procedere alla riqualificazione delle aree militari per restituirle alla città. Le aree militari hanno tagliato la città in due e la necessità è ora quella di restituire le aree verdi alla città ma non è facile. L’esercito non ha convenienza a lasciarle così come sono e il comune non può ricomprarle.
Che situazione c’è al Laboratorio Pontieri al momento?
Il Laboratorio Pontieri è stato acquisito dal Comune ma c’è bisogno di investimenti privati per riqualificarlo. La progettualità c’è, bisogna capire che interesse possono avere i privati. Stiamo cercando di sviluppare gli utilizzi possibili emersi nel corso del progetto MAPS.
Sul fronte della partecipazione, che contributo può portare il progetto in città?
Piacenza non è una città molto collaborativa ma MAPS sta coinvolgendo tante realtà locali, anche se bisognerà poi comprendere quanti sono poi realmente interessati a contribuire al rilancio di un luogo come Laboratorio Pontieri. Bisogna tenere il buono da ogni esperienza e, anche se il progetto è stato avviato dalla precedente amministrazione, stiamo ricevendo spunti per far prendere forma a un progetto che coinvolga diversi soggetti interessati a prendersi cura di questo spazio. MAPS ci ha dato un minimo di indirizzo mentre è fondamentale l’idea di coinvolgimento dei giovani, come le associazioni di scherma o di danza, che vanno curate e per le quali bisogna trovare spazi anche magari coinvolgendo le scuole.
In che modo è possibile rilanciare la collaborazione tra i diversi livelli di governo per favorire la riqualificazione delle aree individuate?
Questo è un problema latente. Con il Laboratorio Pontieri stiamo cercando di capire come utilizzarlo, visto che è di proprietà del Comune. Le altre aree invece non sono dismesse ma soltanto dopo averle completamente acquisite si potrà capire poi come trasformarle. Non ha senso firmare protocolli che poi rischiano di non portare a nulla. È necessario dare qualche certezza in più per attuare qualcosa di visibile e per questo è necessario dialogare con la Difesa e con il Demanio.

 

 

La forte attività di coinvolgimento svolta negli ultimi anni da Piacenza sul tema potrà senza dubbio risultare significativa per porre all’attenzione nazionale il tema del riuso delle aree militari dismesse e renderne soprattutto più facile l’acquisizione da parte delle autorità locali.
Le città partner del progetto, tra questa Cartagena, Espinho, Varadzin e altre, stanno intestandosi questa battaglia nei rispettivi paese e una parte fondamentale dei piani d’azione che stanno emergendo nel corso dei progetti sono le linee guida nazionali elaborate dalle città su ogni paese (tema che sarà anche al centro della conferenza finale di MAPS, prevista per la primavera 2018).

 

 

La complessità della sfida di Piacenza è data anche dalla delicatezza delle possibili proposte di riconversione emerse per due aree, come Pertite e Lusignani, oggetto del piano ma ancora utilizzate dai militari. La possibile realizzazione di un nuovo ospedale o di una serie di servizi per la cittadinanza è ostacolata dalla necessità di trovare una ricollocazione per i reparti militari attualmente impegnati nelle aree individuate ma ciò non limita la capacità progettuale di città e stakeholder riuniti nel Local Group.

 

 

Molto più appassionante e concreta è invece la sfida di riqualificazione dell’unica delle tre aree già in possesso della città, il Laboratorio Pontieri che ad aprile è stato aperto eccezionalmente alla città con un Open Day che ha visto protagonisti molti degli stakeholder locali che puntano ad essere coinvolti nella rigenerazione della struttura.
Trasformare questa struttura, rimasta aperta fino al 2008 e utilizzata come laboratorio per la costruzione di ponti di barche, in un incubatore di attività culturali e museali, oltre che centro aperto a fotografi, videomaker e altre imprese del settore creativo è l’obiettivo emerso nel corso degli ultimi mesi di lavoro, anche grazie ad un attento esame della struttura che si compone sia di aree adibite in precedenza a laboratori (falegnameria, ferreria, sartoria e altro) che di zone dedicate a uffici e foresterie.

 

 

I costi di riqualificazione complessivi sono stimati in circa 9 milioni di euro (di cui 3 solo per le aree esterne) ma si punta a collegare tale azione di ripristino ad altre progettualità già in campo, come il Piano periferie, con l’obiettivo di attingere a una pluralità di fonti di finanziamento che rendano possibile la realizzazione di un’opera ambiziosa e capace di rilanciare davvero la città.
Esperienze come la Fabbrica del Vapore a Milano costituiscono un possibile modello per la riqualificazione di un’area su cui non sono da escludere riusi temporanei e iniziative capaci, come l’Open Day, di riattivare l’attenzione di diverse tipologie di pubblico verso tali strutture.

 

 

La convinzione che sia necessario lavorare sulle caserme per ripensare strategicamente la città è condivisa dai componenti del Gruppo d’azione locale e dai rappresentanti della Facoltà di Architettura della sede piacentina del Politecnico di Milano, anch’essi parte del Local Group che contribuiscono ad alimentare con una visione complessiva del rilancio della città elaborata grazie anche al coinvolgimento degli studenti italiani e stranieri che prendono parte all’apprezzata Summer school dedicata ad architettura e paesaggio.

 


Come sarà Piacenza nel 2036? A partire da questa sollecitazione, condivisa con le altre città del network, vengono avviati possibili scenari di sviluppo per le tre aree al centro del progetto, con una serie di soluzioni puntuali per una nuova visione di città a partire dal rafforzamento del metodo partecipativo. Un esercizio di visione sul medio-lungo periodo, che mette in rete una serie di parchi, da quello fluviale a quello agricolo, capaci di ridare nuovo ruolo alla risorsa fiume, centrale per lo sviluppo passato della città, e a mettere la tutela del paesaggio al centro di una innovativa azione di confronto tra università e governo locale

 

 

 

I riusi delle aree militari per una città sostenibile sul piano ambientale, economico e sociale ma anche per una crescita culturale diffusa: dai gruppi di videomaker ai circoli che organizzano cineforum e cinema all’aperto, la presenza variegata di stakeholder che rappresentano forme più innovative di cultura rispetto a quelle tradizionali come il teatro e l’opera, a cui è legata in maniera forte l’identità stessa della città, contribuiscono a rendere MAPS un’occasione per far nascere connessioni tra mondi diversi. Connessioni che esulano dall’idea semplice di rigenerazione fisica e rendono davvero le aree militari dismesse un incubatore di energie, visioni e pratiche culturali che da Piacenza può ispirare altre città italiane ed europee ad affrontare in maniera diversa questo tema.

Simone d’Antonio